Trattamenti per la calcolosi ureterale.
Cateterismo ureterale
Definizione: il cateterismo ureterale è una procedura diagnostica o terapeutica consistente nell’introduzione in uretere o nella pelvi renale di un catetere ureterale attraverso un cistoscopio.
Indicazioni: è una procedura diagnostica:
a) nel caso in cui viene seguito dall’iniezione di mezzo di contrasto per praticare una ureteropielografia retrograda;
b) nel caso in cui si voglia praticare un esame citologico selettivo della via urinaria (raccogliendo il liquido di lavaggio iniettato attraverso il catetere).È una procedura terapeutica necessaria da applicare in caso di ostruzione ureterale da causa intrinseca o estrinseca. Da oltre 30 anni, ma soprattutto, negli ultimi 15, sono entrati comunemente nella pratica clinica cateteri ureterali autostatici, per cui oggi, parlare di cateterismo ureterale per ostruzione si intende quasi sempre “posizionamento di stent autostatico”. Ma il cateterismo ureterale non autostatico ha ancora indicazioni ben precise:
1) valutazione funzionale del rene attraverso la misura selettiva delle urine eliminate e la qualità delle stesse (poco praticata);
2) cateterismo di pionefrosi con grossi cateteri poliforati che funzionano per caduta, meglio di uno stent che richiede sempre la peristalsi ureterale (utile in casi selezionati) per un ottimale funzionamento;
3) cateterismo di breve durata (24-48 ore) a seguito di manovre operative come ureteroscopia, quando si vuole prevenire una ostruzione ureterale da edema.
Descrizione della tecnica: il cateterismo ureterale viene praticato in sala operatoria o endoscopica, su letto radio-trasparente, con l’ausilio di amplificatore di brillanza. Può essere effettuato in anestesia locale, in sedazione o in casi eccezionali in anestesia. Si inserisce in vescica il cistoscopio: attraverso questo si fa passare un piccolo catetere (il catetere ureterale) che viene inserito nel meato ureterale. Da qui si procede nell’uretere fino a raggiungere l’ostacolo. Per superare l’ostacolo, nel caso in cui questo non avvenga semplicemente, si usano cateteri ureterali all’interno dei quali possano passare filiguida che con particolari movimenti superano gli ostacoli e consentono al catetere ureterale di pervenire nella pelvi renale e drenare il rene ostruito. Successivamente si può applicare il catetere autostatico, che è dotato di una doppia virgola (o j o coda di maiale) con la quale si ancora nel rene e nella vescica, diventando così autostatico. Dopo questa manovra può essere lasciato un catetere vescicale per 24 ore allo scopo di evitare il reflusso da intolleranza vescicale dello stent che si verifica soprattutto nelle prime ore.
Preparazione all’intervento: la chemioantibioticoprofilassi deve iniziare il giorno prima dell’intervento se si tratta di una procedura diagnostica. Se il cateterismo ureterale è inteso come procedura per risolvere un’ostruzione, di solito il paziente sta già praticando una terapia antibiotica.È sempre utile, se possibile, una buona preparazione intestinale.
Durata dell’intervento: i tempi di effettuazione sono molto variabili: da pochissimi minuti in caso di facile superamento dell’ostruzione a tempi più lunghi (max 15-20 minuti) nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una ostruzione complessa.
Tipo e durata del ricovero: la procedura può essere eseguita in regime ambulatoriale, in DH o in regime di ricovero in relazione al tipo di ostruzione, al tipo di anestesia e al tipo di paziente che ci si trova di fronte.
Risultati: i risultati, in termini di riuscita della procedura sono quasi sempre buoni.
Vantaggi: si tratta di una procedura tecnicamente semplice, mini-invasiva, in grado di risolvere ostruzioni ureterali di ogni tipo.
Svantaggi: l’ostruzione precoce del catetere ureterale non consente il funzionamento ottimale quando la peristalsi ureterale non è più valida (uretere neoplastico, fibrosi estesa dell’uretere). In questi casi il drenaggio migliore si ottiene con la nefrostomia percutanea.
Effetti collaterali: i portatori di catetere ureterale tipo stent di solito lamentano, soprattutto nei primi giorni disturbi urinari di tipo irritativo, in relazione all’intolleranza dell’estremo vescicale dello stent. Esiste peraltro una variabilità di tolleranza in relazione al materiale di composizione dello stent e in relazione alla sopportazione personale del paziente.
Complicanze: le complicanze post-operatorie precoci sono:
1) il dolore lombare talora legato al reflusso vescico-renale;
2) l’ematuria, entrambi dovuti al traumatismo e all’irritazione prodotti dal catetere ureterale;
3) i sintomi irritativi vescicali (frequenza minzionale, urgenza, incontinenza, ecc.) dovuti al contatto meccanico dell’estremo inferiore dello stent con la parete vescicale (molto variabili, dalla tolleranza assoluta all’intolleranza totale che talora richiede la rimozione dello stent).
Le complicanze tardive sono:
1) sviluppo di incrostazioni, molto variabile in relazione alle caratteristiche chimico-fisiche delle urine dei pazienti; può riguardare l’estremo prossimale o distale e talora tutto lo stent;
2) deposizionamento dello stent: verso l’alto, in tal caso deve essere recuperato attraverso una ureteroscopia operativa; verso il basso, in tal caso va riposizionato con una nuova manovra cistoscopia;
3) ostruzione dello stent con assenza di deflusso peritubulare: questa è un’evenienza che accade di frequente quando ci si trova di fronte ad una ostruzione estrinseca di natura neoplastica; in questi casi, la costrizione estrinseca da parte della massa neoplastica e l’infiltrazione neuro-muscolare dell’uretere con il blocco della peristalsi che ne consegue, lasciano funzionare lo stent solo per via intracanalicolare, ma questa ha una durata breve. In tali casi il miglior drenaggio dell’ostruzione è la nefrostomia percutanea, sempre che il paziente, avendo una lunga aspettativa di vita, non possa beneficiare di una derivazione urinaria chirurgica congrua;
4) rottura dello stent: di solito avviene quando questo viene tenuto dal paziente oltre il limite previsto per quello specifico materiale. È necessario consegnare al paziente il cartellino di accompagnamento datato che specifica i tempi di rimozione o eventuale sostituzione dello stent;
5) l’infezione sintomatica delle vie urinarie è piuttosto comune nei portatori di stent; non sempre è trattabile con successo con antibiotici.
Attenzioni da porre alla dimissione: nel post-operatorio il paziente sottoposto al posizionamento di uno stent deve praticare una terapia antibiotica e talora con antispastici vescicali, per evitare il cistospasmo da intolleranza dell’estremo vescicole dello stent. È consigliato di bere molto allo scopo di avere una diuresi abbondante. Al paziente deve essere rilasciato un cartellino nel quale viene indicata la data di rimozione dello stent. Questa informazione deve essere anche inserita in un registro ospedaliero.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione: in caso di disturbi irritativi vescicali può far uso di antispastici selettivi vescicali prescritti anche dal medico curante. In caso di febbre persistente e dolore dopo 6-7 giorni deve riconsultare il centro urologico di riferimento perché probabilmente siamo di fronte ad un cattivo funzionamento dello stent.
Controlli: deve effettuare controlli radiografici, ecografici e di laboratorio, in relazione alla patologiaostruttiva per la quale si è proceduti al posizionamento dello stent.
Litrotissia extracorporea (E.S.W.L)
Definizione: La litotrissia extracorporea consiste nella produzione di onde d’urto in un mezzo liquido con diversi tipi di generatori (elettroidraulici, elettromagnetici, piezoelettrici) e nella focalizzazione di queste onde sul calcolo da frantumare. Le onde d’urto, generate al di fuori del corpo umano, vengono trasmesse dai liquidi e quindi anche dai tessuti molli dell’organismo e si infrangono sulla superficie solida dei calcoli inducendone la polverizzazione. I frammenti e la polvere così formati vengono poi espulsi spontaneamente attraverso la via escretrice. Il puntamento del calcolo, cioè la sua visualizzazione e posizionamento nell’area in cui si concentrano le onde d’urto (fuoco), avviene con la fluoroscopia o con l’ecografia. I più recenti litotritori dispongono di entrambe le possibilità di puntamento e garantiscono la repertazione del calcolo lungo tutta la via escretrice; non richiedono più l’immersione del paziente in acqua, come avveniva con i litotritori di prima generazione, ma ottengono l’accoppiamento tra sorgente dell’onda d’urto e paziente mediante un cuscino d’acqua di dimensioni contenute.
Indicazioni e controindicazioni: I fattori che condizionano le indicazioni e la percentuale di successo della SWL (shock wave lithotripsy) sono rappresentati dalla dimensione e dalla sede del calcolo, dalla sua composizione e dalla morfologia della via escretrice. La maggior parte delle calcolosi renali sono trattate con tecnica extracorporea in monoterapia od in associazione con la litotrissia percutanea. Il diametro di 2.5cm rappresenta il limite superiore di dimensione unanimemente accettato per un trattamento di prima scelta in monoterapia con un litotritore extracorporeo. L’alto numero di ritrattamenti necessari per calcolosi di diametro superiore, le possibili complicanze (impilamento dei frammenti, ostruzione della via escretrice, febbre) e l’elevata percentuale di ricrescita dei frammenti residui fanno preferire in questi casi l’uso della litotrissia percutanea. In presenza di calcolosi del calice inferiore di dimensione superiori a 1.5cm, o di calcoli in diverticoli caliciali con colletto stenotico, la SWL è in grado spesso di indurne la frammentazione e di ridurre la sintomatologia, ma l’eliminazione risulta molto difficile se non impossibile. L’opzione terapeutica più efficace in questi casi particolari è considerata la litotrissia percutanea piuttosto che quella extracorporea. Requisito essenziale per l’esecuzione di una SWL è rappresentato dalla pervietà della via escretrice e dalla possibilità che i frammenti creati dalla litotrissia vengano espulsi spontaneamente. In condizioni quali una dilatazione delle cavità renali l’eliminazione di polvere e frammenti avverrà con maggiore difficoltà (53%) rispetto a quella ottenibile con regolare morfologia pielo-caliciale (70%). Anomalie anatomiche come il rene a ferro di cavallo, per la particolare conformazione dei calici, bacinetto e giunto pielo-ureterale, rendono più difficile la clearance delle cavità dal calcolo che avviene dal 54 al 70% dei casi aumentando invece il rischio di strumentazioni aggiuntive e quello di ricrescite o recidive. La modalità di frammentazione dei calcoli dipende in maniera rilevante dalla sua composizione chimica, così un calcolo di ossalato diidrato o di struvite si romperà più facilmente che uno di ossalato monoidrato o di cistina. La composizione chimica influenza quindi le percentuali di successo e di ritrattamento. Così una calcolosi di cistina di diametro superiore ad 1,5cm non trova nella SWL la prima opzione di trattamento. La calcolosi di acido urico sensibile al trattamento litico orale viene trattato con la litotrissia extracorporea solo in caso di assente o insufficiente riduzione della massa del calcolo dopo almeno 3 mesi di terapia alcalinizzante. La terapia alcalinizzante viene spesso proposta in associazione alla SWL per sfruttare la maggior superficie di contatto tra urine e calcolo frammentato. I difetti congeniti od acquisiti della coagulazione rappresentavano una controindicazione assoluta al trattamento extracorporeo; la loro correzione ha permesso però di sottoporre anche questa categoria di pazienti alla SWL con un rischio ridotto di evenienze emorragiche. E’ preferibile comunque che il trattamento venga condotto sotto controllo ecografico ed applicando potenze ridotte. Sono attualmente considerate controindicazioni: la gravidanza, le calcificazioni aortiche, gli aneurismi aortici e dell’arteria renale, i difetti non correggibili della coagulazione ed una complessione fisica, come grosse obesità od una scoliosi grave, che renda impossibile l’accoppiamento tra sorgente d’onda d’urto e paziente od il posizionamento del calcolo sul fuoco.
Descrizione della tecnica: I litotritori di prima generazione prevedevano l’immersione del paziente in una vasca metallica sul cui fondo era collocata la sorgente delle onde d’urto. Con i litotritori più recenti il paziente viene solitamente sdraiato su di un lettino e la sorgente delle onde d’urto appoggiata al suo corpo mediante un cuscino d’acqua. Il calcolo viene visualizzato e puntato ecograficamente o radiologicamente mediante dei movimenti del lettino o della sorgente d’onda. Durante la litotrissia extracorporea le onde d’urto devono attraversare la cute ed i tessuti molli prima di raggiungere il calcolo e questo passaggio può provocare dolore. Il dolore dipende dalla potenza generata dalla fonte di energia, dall’area di ingresso dell’onda d’urto sulla superficie corporea e dalla dimensione del fuoco in cui si concentra l’onda d’urto. Il trattamento extracorporeo viene attualmente eseguito senza anestesia generale o peridurale, ma solo con una analgo-sedazione od addirittura senza alcun supporto farmacologico a seconda del litotritore e delle potenze erogate. Naturalmente riducendo l’energia applicata si ridurrà la necessità di analgesia ma anche l’efficacia del trattamento con aumento della necessità di ritrattamenti.
Preparazione all’intervento: Una profilassi antibiotica è necessaria solo in presenza di una infezione urinaria in atto, nel trattamento di calcolosi da infezione, o quando vi sia una storia di infezioni urinarie.
Durata dell’intervento: La durata di un trattamento è mediamente di circa 30 minuti ed è correlata principalmente al numero di onde erogate per minuto, ed al tempo necessario per un corretto puntamento del calcolo.
Tipo e durata del ricovero: Abitualmente la procedura viene realizzata in regime di Day-Hospital o ambulatoriamente. Solo in caso di complicanze può rendersi necessario il passaggio ad un ricovero ordinario (< 5%). Risultati: Le dimensioni del calcolo rappresentano uno dei fattori discriminanti per la scelta del trattamento e modificano in modo determinante la percentuale di successi (considerati come completa liberazione dai calcoli). La massima percentuale di successi viene ottenuta nelle calcolosi di diametro inferiore ad 1cm con una media dell’84% (64-92%) per scendere al 77% (59-89%) tra 1 e 2cm e 63% (39-70%) al di sopra dei 2cm di diametro. Con calcolosi di diametro superiore a 2.5cm la percentuale dei pazienti liberi da calcoli è compresa tra il 44 ed il 62%. La localizzazione del calcolo condiziona anch’essa la percentuale di successi. L’eliminazione totale dei frammenti avviene in circa l’80% delle calcolosi situate nel bacinetto renale, nel 73% delle caliciali superiori fino a scendere al 53% di quelle del calice inferiore. Tali percentuali diminuiscono in maniera evidente in caso di stenosi del colletto dei calici: 26 e 18% rispettivamente per le calcolosi caliciali superiori ed inferiori. I frammenti prodotti dalla litotrissia sono eliminati ad un anno dal trattamento nella maggior parte dei casi (dal 55 al 78%), ma in un certo numero di pazienti l’eliminazione non avviene ed essi rimangono all’interno delle cavità renali aumentando il rischio di ricrescite per le calcolosi di cistina, acido urico e da infezione.
Vantaggi: Minore invasività rispetto alla chirurgia endoscopica e tradizionale, e quindi minori rischi di complicanze. Trattamento in regime ambulatoriale o di Day Hospital.
Svantaggi: Elevata percentuale di ritrattamenti.
Effetti collaterali: È possibile distinguere tra effetti collaterali dovuti alla frammentazione del calcolo e quelli riferibili al passaggio delle onde d’urto. L’eliminazione dei frammenti può essere accompagnata da coliche in una percentuale variabile dal 18,4 al 49%. Il passaggio delle onde d’urto nel rene provoca dei microtraumi a carico del parenchima renale, ai quali, in gran parte può essere attribuita l’ematuria che compare nelle prime 24 ore.
Complicanze: La complicanza più severa della litotrissia extracorporea è l’ematoma renale che presenta una incidenza clinica variabile tra lo 0,1 e lo 0,6%. La maggior parte di questi ematomi vengono trattati conservativamente e sono usualmente riassorbiti entro 6 settimane, ma possono persistere per più di 6 mesi. Solo occasionalmente sono state descritte emotrasfusioni o nefrectomie. Fattori predisponenti la formazione degli ematomi sono l’ipertensione arteriosa non controllata, i deficit della coagulazione, l’assunzione di antiaggreganti piatrinici e la pielonefrite. Numerosi studi sono stati condotti per valutare la possibilità dello sviluppo di una ipertensione arteriosa dopo SWL, ma i controlli non hanno dimostrato una diversa incidenza di ipertensione fra pazienti trattati e popolazione normale. Dolori persistenti, una ostruzione ureterale completa in particolare se in rene unico, febbre e sepsi urinaria e la mancata eliminazione dei frammenti entro 4 settimane richiedono una pronta disostruzione dell’uretere. L’incidenza di ostruzione della via escretrice causata dai frammenti è direttamente correlata alla massa di particelle da eliminare. Sono infatti richieste manovre ausiliarie post SWL nel 10% dei pazienti con calcolosi di diametro inferiore ai 2.5cm, ma nel 60% dei pazienti con calcolosi superiori a tale misura. L’impilamento di polvere e frammenti nell’uretere diviene sintomatico tra l’1 ed il 6% dei casi e, malgrado si risolva spesso spontaneamente, tra il 6 e il 35% dei pazienti si rendono necessarie delle manovre ausiliarie che prevedono, con varia frequenza, il posizionamento di una nefrostomia percutanea, di uno stent ureterale o manovre endoscopiche fino all’ureterorenoscopia e trattamenti SWL sull’uretere.
Attenzioni da porre alla dimissione: La natura stessa del trattamento prevede l’espulsione spontanea dei frammenti che possono provocare delle coliche renali da trattare con antidolorifici a domicilio.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Sarà opportuno consultare l’urologo in caso di iperpiressia e coliche resistenti alla terapia farmacologica.
Controlli: I controlli degli esiti del trattamento vengono eseguiti tra 3 e 7 giorni dalla litotrissia e prevedono una radiografia a vuoto dell’addome ed una ecografia renale. In caso di adeguata frammentazione vanno ripetuti ad uno e tre mesi dal trattamento per verificare la completa eliminazione dei frammenti.