Trattamenti per il tumore della prostata.
Con il termine di prostatectomia radicale si intende l’intervento chirurgico che prevede l’asportazione in blocco della prostata e delle vescicole seminali con la successiva anastomosi della vescica con il moncone uretrale. L’intervento è di solito preceduto da una linfoadenectomia pelvica cioè dalla asportazione dei linfonodi che drenano i linfatici dalla ghiandola prostatica.
Indicazioni: La selezione del paziente candidato a tale intervento dipende dallo stadio clinico, dall’aspettativa di vita e dalle condizioni psicofisiche. In genere è ritenuto candidabile ad intervento di prostatectomia radicale, con intenti curativi, il paziente con neoplasia prostatica clinicamente localizzata, con aspettativa di vita di almeno 10 anni e in condizioni generali soddisfacenti. Lo scopo che l’intervento si propone è quello di rimuovere chirurgicamente tutto il tumore, consentendo la guarigione del paziente. Tuttavia occorre ricordare che, purtroppo, all’analisi istologica sul pezzo asportato in una alta percentuale di casi, superiore al 50%, il tumore risulta non essere confinato nella prostata o presentare margini di sezione positivi.
Complicanze: La prostatectomia radicale è considerata un intervento di chirurgia maggiore e come tale non è scevro da complicanze. Il tasso di mortalità peri-operatoria, cioè quello che avviene nei trenta giorni susseguenti all’intervento chirurgico, varia dall’1 al 4,6%; mentre la mortalità operatoria è inferiore allo 0,5%. Le complicanze dell’intervento di prostatectomia radicale si possono suddividere in tre gruppi: 1) intraoperatorie, 2) post-operatorie precoci (fino a 30 giorni dopo l’intervento chirurgico), 3) post-operatorie tardive (dopo trenta giorni dall’intervento chirurgico). Globalmente la frequenza di tali complicanze varia dal 7,5 al 18,5%;
1) tra le prime occorre ricordare l’emorragia intra-operatoria che si verifica in meno del 10% dei casi con una perdita di sangue che mediamente non supera i 1.200/1.500 ml. La perforazione della parete rettale viene riportata nello 0,1/0,2% dei casi; mentre le lesioni ureterali hanno un’incidenza variabile dallo 0,1 al 4,7%. La perforazione rettale se minima è riparata nel corso dell’intervento stesso; se la lesione rettale è di dimensioni più cospicue e la sola riparazione non da sufficienti garanzie, si è soliti confezionare una colostomia temporanea per permettere una più sicura guarigione. Le lesioni ureterali invece necessitano di solito di un reimpianto dell’uretere in vescica.
2) Tra le complicanze post-operatorie precoci vanno segnalate quelle trombo-emboliche 0,7-2,6%, quelle cardiovascolari 1-4%, le infezioni di ferita 0,9-1,3%, la linforrea o linfocele 0,6-2%. La stenosi dell’anastomosi vescico-uretrale viene riportata in una percentuale variabile tra lo 0,6 e il 32% dei casi ed è solitamente trattabile per via endoscopica.
3) Tra le complicanze tardive vanno menzionate a parte l’incontinenza urinaria e l’impotenza sessuale. Per quel che riguarda il problema dell’incontinenza urinaria l’approccio anatomico “descritto da Walsh” nella prostatectomia radicale ha consentito di ridurre l’incidenza della incontinenza urinaria post-operatoria. L’incidenza storica “dell’incontinenza urinaria” dopo prostatectomia radicale varia dal 2,5 al 47% dei casi in relazione alla definizione di incontinenza utilizzata; alcuni autori infatti ritengono presente un’incontinenza in tutti i pazienti con minimi incontinenza da sforzo, mentre altri considerano nei loro dati solo l’incontinenza totale. L’incontinenza, quando grave, può essere corretta con l’applicazione di protesi. Nelle casistiche disponibili sulle prostatectomie radicali l’incidenza dell’incontinenza totale varia dallo 0 al 12,5% dei casi. Quel che riguarda il problema dell’impotenza sessuale esiste in letteratura una notevole variabilità dei dati riguardanti il recupero della potenza dopo tale intervento che vanno dal 10 al 75% dei casi trattati. L’intervento di prostatectomia radicale preceduto dalla linfoadenectomia ha una durata di circa tre ore e viene eseguita in regime di ricovero ordinario con una degenza variabile dai 7 ai 14 giorni.
Convalescenza: La convalescenza per questo tipo di intervento è di circa 20-30 giorni dalla dimissione.
Controlli: Il primo controllo viene effettuato a distanza di 40-60 giorni con una determinazione del PSA, un’esame di urine ed un’urinocoltura; mentre i successivi controlli, variabili da caso a caso, saranno programmati mediamente alla distanza di 6 mesi dopo la prima visita.
Descrizione della tecnica: Prostatectomia radicale sovrapubica.
L’intervento di prostatectomia radicale può essere effettuata in anestesia spinale ed epidurale da sole o in associazione con l’anestesia generale. L’approccio epidurale è preferibile poiché il controllo del dolore peri-operatorio è facilitato dalla somministrazione di narcotici attraverso il catetere epidurale. L’intervento viene effettuato attraverso una incisione mediana che va dall’ombelico alla sinfisi pubica; superati i piani muscolo-aponeurotici si liberano le fosse otturatorie e si procede innanzitutto alla linfoadenectomia pelvica di stadiazione. Una volta conosciuto l’esito dell’esame istologico dei linfonodi asportati si può procedere alla prostatectomia radicale le cui fasi si possono riassumere nei seguenti punti:
1) sezione dei legamenti pubo-prostatici
2) legatura del complesso venoso dorsale
3) sezione dell’uretra
4) mobilizzazione della prostata delle vescicole seminali e sezione dei vasi deferenti
5) sezione della giunzione prostato-vesciale
6) ricostruzione del collo vesciale7) anastomosi vescico-uretrale.
Definizione: La biopsia prostatica è una procedura indispensabile qualora vi sia un sospetto di patologia prostatica, in seguito al riscontro di un’esplorazione rettale dubbia o di un PSA aumentato.
Descrizione della tecnica: La biopsia può essere eseguita con o senza anestesia locale. Viene eseguita un’ecografia prostatica transrettale e, in corso di ecografia, si possono iniettare in sede periprostatica 10 cc di lidocaina 1%; quindi si faranno con un ago idoneo 6 o più prelievi (da 12 a 24) della ghiandola prostatica. La manovra può comportare un leggero dolore, anche se effettuata con anestesia locale.
Preparazione alla biopsia: Il Paziente deve segnalare eventuali patologie a carico delle valvole cardiache, eventuali disturbi della coagulazione noti o alterazione dei tempi di sanguinamento riscontrati in corso di precedenti manovre (per es. estrazioni dentarie). È opportuno che sospenda alcuni giorni prima eventuali terapie anticoagulanti e antiaggreganti, secondo indicazione medica. La sera prima o la mattina della manovra è necessario eseguire un clistere di pulizia. Dalla sera precedente va iniziata una profilassi antibiotica. Per prevenire episodi lipotimici (svenimento) durante la biopsia, può essere somministrata una leggera sedazione che determina un rallentamento dei riflessi anche nelle ore successive alla procedura rendendo pericoloso lo svolgimento di attività che richiedono coordinazione e attenzione come per es. la guida di automezzi. È pertanto necessario essere accompagnati.
Risultati: La tecnica ecoguidata consente in genere di ottenere prelievi nelle sedi volute ed in quantità sufficiente a porre la diagnosi. Come tutte le procedure diagnostiche anche la biopsia prostatica è gravata da falsi negativi: cioè la possibilità di non ottenere una diagnosi istologica di tumore anche in presenza dello stesso. Nei casi negativi sarà lo specialista a decidere se e quando ripetere l’esame in base alla situazione clinica.
Complicanze: Dopo la biopsia il Paziente viene tenuto in osservazione per qualche tempo. Sono descritti episodi di sincope o lipotimia. Le emorragie sono generalmente lievi e transitorie e incidono per un 20% circa: si manifestano con presenza di sangue nello sperma e/o nelle urine e/o sanguinamento rettale. L’edema della ghiandola prostatica può causare raramente ritenzione acuta di urina con la necessità di posizionamento di catetere vescicale. In alcuni casi possono manifestarsi complicanze infettive: prostatite, orchiepididimite, cistite, cistopielite, sepsi. Nel caso in cui si manifestasse una delle complicanze sopra descritte è opportuno rivolgersi all’urologo.
Un trattamento localizzato in un’unica sessione; la rapida ripresa dei pazienti dopo l’intervento; effetti collaterali minimi; ripetizione del trattamento; nessun impasse terapeutico dopo la terapia; inoltre, può essere utilizzata per pazienti che non sono candidati alla chirurgia oppure per i quali la radioterapia non ha avuto successo. È la tecnologia HIFU (High Intensity Focused Ultrasound), tecnica mininvasiva per il trattamento del cancro alla prostata localizzato.
Questa tecnologia usa ultrasuoni focalizzati ad alta intensità per distruggere il tessuto tumorale della prostata senza incidere sul tessuto circostante. Essendo mininvasiva, richiede un brevissimo periodo di ospedalizzazione, ha un tasso di complicanze basso e permette una risposta rapida, con livelli minimi di PSA, raggiunti già tre mesi dopo il trattamento. HIFU è particolarmente adatto per pazienti con tumori della prostata localizzati (T1/T2) non candidati alla chirurgia, e per pazienti con insorgenze del cancro alla prostata a seguito di radioterapia. “Questa tecnica è molto promettente, come è dimostrato dall’alto tasso di successi che abbiamo avuto a Monaco di Baviera. È chiaro che non metteremo in un cassetto gli altri metodi terapeutici già consolidati, però amplia decisamente la gamma delle opzioni terapeutiche”, dichiara il dottor Stefan Thüroff della Krankenhaus München Harlaching.
Il trattamento HIFU dura all’incirca un’ora e mezza o due. Una sonda endorettale è introdotta mentre il paziente è sotto anestesia generale o spinale. Una volta identificato il tumore con lo scanning ad ultrasuoni, vengono applicate emissioni focalizzate di ultrasuoni ad alta intensità per aumentare la temperatura dell’area localizzata (da 85 a 100 gradi centigradi), inducendo la necrosi del tessuto prostatico colpito dal tumore in volumi prestabiliti. Il paziente viene ricoverato il giorno prima dell’intervento e, nella maggior parte dei casi, lascia l’ospedale dopo due o tre giorni. La tecnologia HIFU è già stata utilizzata in più di 20.000 mila pazienti. Il follow-up di un gruppo di malati in Germania ha permesso di stabilire un tasso di successo dell’87 per cento senza recidiva dopo cinque anni (137 pazienti / biopsia negativa e PSA < 0,5 ng/ml).
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